Considerazioni fatte da un uomo qualunque

Di Francesco

Vorrei evidenziare, come preambolo, che le mie opinioni, che ho qui trascritto, sono delle semplici considerazioni fatte da un uomo qualunque, non pretendo di avere ragione, l’aver messo per iscritto tali concetti è stato un espediente per sottoporre all’esame di altri quanto da me meditato.

Per questo desidero che chiunque legga il mio scritto tenga sempre ben presente questa prefazione ed ogni eventuale critica o correzione sarà ben accetta.

Credo che le religioni siano destinate a scomparire, si realizzerà quella che è definita secolarizzazione, però nulla è stato ancora inventato nella nostra società che possa sostituire gli insegnamenti morali (virtù, saggezza, sapienza, ricerca della vita eterna) che ci pervengono da esse, non vi è filosofia, legge o regolamento.

Dal punto di vista psicologico le religioni hanno ancora un ruolo importante, infatti, spesso i problemi legati alla convivenza sono facilmente superati se ci si pone uno scopo superiore.

E’ vero che l’individuo ogni giorno si deve confrontare con la necessità di soddisfare le esigenze primarie, quali cibo, casa, acqua, vestiario e che quindi ognuno di noi in fondo è portato a preoccuparsi per se stesso e per la propria famiglia; ma è altrettanto vero che lo sviluppo tecnologico e culturale che abbiamo conseguito è frutto anche dell’aggregazione sociale.

Credo che, in base alla teoria evoluzionistica di Darwin, l’unico scopo di ogni essere vivente sia quello di riprodursi e tramandare i propri geni, come d’altronde avviene ormai da circa 3,5 miliardi di anni sulla Terra.

All’epoca apparvero le prime forme di vita che hanno dato inizio a quella catena, mai interrottasi, che ci permette di essere qui oggi.

Lo scopo della vita sarebbe, quindi, di riprodursi all’infinito.

Credo, inoltre, che noi non siamo diversi da tutta la materia inanimata presente nell’universo.

Di particelle elementari di materia (leptoni e quark) sono composti gli atomi che a loro volta compongono gli oggetti inanimati presenti nell’universo (stelle, pianeti, gas, polvere interstellare), ma anche le cellule degli esseri viventi sono composte di atomi e, quindi, di particelle elementari di materia.

Nelle cellule degli esseri viventi troveremo gli amminoacidi, il dna, le proteine a loro volta composti di atomi di carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno; anche tali atomi, come già detto, sono costituiti di particelle elementari di materia (leptoni e quark).

In particolare le particelle elementari si suddividono in:

· 6 tipi di leptoni

· 6 tipi di quark

· Particelle mediatrici di forza

Sui leptoni ed i quark, tramite le particelle mediatrici di forza, agiscono le interazioni fondamentali: forza gravitazionale (forse mediata dal gravitone), debole (mediata dal bosone), elettromagnetica (mediata dal fotone) e forte (mediata dal gluone).

Negli atomi, quindi, troveremo gli elettroni (appartenenti alla classe dei leptoni), i protoni ed i neutroni (costituiti da quark).

L’elemento comune a tutti gli oggetti presenti nell’universo, viventi o no, quindi è la materia o, più specificatamente, le particelle elementari di materia: leptoni (elettrone) e quark (protoni e neutroni).

Gli uomini, a differenza della restante materia inanimata e degli altri esseri viventi, abbiamo sviluppato la consapevolezza di essere vivi, frutto del particolare percorso evolutivo.

Dopo la nostra morte di ognuno di noi rimarrà solo la materia inanimata della quale siamo composti, si estinguerà la nostra vita e con essa anche la consapevolezza di essere stati vivi.

Può un ammasso inanimato di atomi dire di essere stato vivo?

Può l’ammasso di particelle di materia, che rimarrà di noi, ricordare di essere stato consapevole della propria esistenza e di quella di tutto l’universo?

Tutto quello che facciamo o abbiamo fatto, ed ecco il paradosso, è già destinato ad essere dimenticato per sempre da noi stessi, come se non fossimo mai esistiti.

E’ questo che mi porta a considerare la vita in se stessa, come il bene più fragile e prezioso in assoluto; non considero tale solo la mia di vita, ma quella di ogni essere vivente.

E’ vero che l’universo non scomparirà dopo la nostra morte, ma chi potrà affermare che l’universo esiste se non io ovvero ogni essere umano per conto proprio?

E’ vero che dopo la nostra morte ci saranno altri esseri umani dotati di coscienza, ma per ognuno di loro con il sopraggiungere della morte svanirà la consapevolezza di essere vivi, non serberanno alcun ricordo delle esperienze vissute ed anche per loro sarà come se non fossero mai esistiti.

Il religioso direbbe che l’anima sopravvive, mentre il corpo va in putrefazione, ma davvero l’anima esiste?

Se l’anima non esiste allora rimane valida solo l’altra affermazione che propongo.

In precedenza ho parlato del ruolo delle religioni, adesso voglio fare un’altra precisazione anche sul mio pensiero riguardo “Dio”.

Sono dell’idea che quando parliamo di Dio, non ci rendiamo conto che attribuiamo a questa figura due diversi significati.

Il primo è quello del giudice supremo che rispecchia il nostro bisogno di giustizia, il quale credo debba essere associato al ruolo politico svolto dalle religioni nella storia.

Forse questo bisogno di comportarci secondo giustizia, più che definirlo “Dio”, dovremmo chiamarlo “coscienza civica” o semplicemente “morale”.

Il secondo aspetto è la figura del dio creatore, al quale attribuiamo l’origine di tutto e del quale molta gente dice di sentirsi parte, credendo anche di poterlo realmente percepire nella bellezza del creato.

La natura in ogni suo aspetto, gli animali, le piante, la Terra ed i pianeti, la conformazione delle galassie, ci danno la sensazione che ogni cosa sia stata creata nel rispetto di criteri comuni, che rispecchiano, armoniosità e bellezza.

La mia spiegazione riguardo questo secondo aspetto di Dio è la seguente.

L’universo è regolato dalle leggi della fisica, forse proprio tramite queste ha avuto origine, ed esse si esprimono nelle forme armoniose che possiamo osservare in tutti gli oggetti presenti nell’universo.

Di ciò abbiamo sempre avuto istintivamente la percezione, ma, erroneamente, l’abbiamo interpretato attribuendone l’origine ad un’entità superiore, che abbiamo chiamato Dio.

D’altronde, credo che lo stesso equivoco dovrebbe essere accaduto, riguardo alla concezione del tempo diffusasi prima della nuova prospettiva introdotta dalla fisica.

Prima si credeva, in un modo alquanto vago, che il tempo fosse una sorta di entità superiore, non meglio definita, che permeasse ogni luogo e ritenuta determinante nel susseguirsi degli eventi.

L’uomo comune pur avendo avuto la consapevolezza dell’esistenza del tempo, non è stato in grado di rappresentarla correttamente.

Ho letto una citazione di Sant’Agostino (354-430 D.C.) che diceva: “Il tempo so che cosa è, ma se devo spiegarlo a chi me lo chiede, non so che cosa è”.

Lo stesso si potrebbe dire avviene nel momento in cui dobbiamo descrivere cosa è Dio.

Tramite la scienza la concezione del tempo è stata ricondotta a quella di una semplice grandezza fisica, al pari delle altre dimensioni.

Riguardo Dio, presumo, per quanto ho sopra esposto, non sia altro che una “proprietà ancora sconosciuta” della materia ovvero le stesse leggi della fisica che si esprimono nel modo armonioso che osserviamo sia nell’estremamente piccolo, atomo, sia nell’estremamente grande, universo.

Ho letto, in una pubblicazione a carattere scientifico, che vi sarebbe una regola non scritta della fisica, secondo la quale nell’eventualità di doversi confrontare con più teorie valide che descrivono lo stesso fenomeno, si debba scegliere quella più armoniosa ed, infatti, proprio l’armoniosità e la bellezza che possiamo scorgere nelle forme degli oggetti presenti nell’universo sembrerebbero confermare questa regola.

Azzardando un difficile accostamento per spiegare quello che ho definito “proprietà ancora sconosciuta della materia”, mi vorrei ricollegare alla teoria che vedrà unificare la meccanica quantistica e la relatività.

Ho letto, in varie pubblicazioni scientifiche, che si è giunti alla conclusione che le forze che regolano la materia, le interazioni fondamentali (forza gravitazionale, debole, elettromagnetica e forte), coesistono in questo universo, perché presumibilmente accomunate da un’unica teoria, non ancora formulata.

Forse potrebbe essere questo aspetto della materia, ancora sconosciuto, o semplicemente le già note interazioni fondamentali, il collante e l’origine stesso dell’universo, che l’uomo comune ha sempre percepito, come è accaduto con l’idea del tempo, e, non sapendolo spiegare in altro modo, lo ha chiamato Dio.

In altre parole: può un essere vivente evolutosi da particelle elementari di materia, plasmato dalle stesse leggi della fisica ovvero dalle stesse interazioni fondamentali che hanno plasmato la restante materia presente nell’universo, non dire, nel momento in cui ha sviluppato la consapevolezza della propria esistenza, di sentirsi parte di tale universo e di apprezzare le forme degli altri oggetti che in esso vi può scorgere?

Mi permetto, infine, di citare una lode scritta da San Francesco da Assisi, che credo sia attinente:

Fratello Sole e Sorella Luna (Dolce Sentire)

· Dolce sentire come nel mio cuore ora umilmente sta nascendo amore. Dolce capire che non son più solo, ma che son parte di una immensa vita che generosa risplende intorno a me: dono di lui, del suo immenso amor

· Ci ha dato il cielo e le chiare stelle, fratello sole e sorella luna, la madre terra con frutti, prati e fiori, il fuoco, il vento, l’aria e l’acqua pura, fonte di vita per le sue creature.

· Sia laudato nostro Signore, che ha creato l'universo intero

· Sia laudato nostro Signore, noi tutti siamo sue creature: dono di lui, del suo immenso amor

· Beato chi lo serve in umiltà.

Vi è un altro aspetto relativo alla figura di Dio di cui voglio parlare, ma credo che sia marginale rispetto a quelli di cui ho già detto.

L’uomo fa parte di una complessa struttura sociale (società, stato, nazione) ed ogni attività, sia manuale sia intellettuale, che esso svolge è parzialmente finalizzata al suo funzionamento.

Ad esempio, il lavoro ha lo scopo principale di procurare all’uomo il necessario per il proprio sostentamento e per quello della propria famiglia, ma tale attività ha anche il ruolo implicito di contribuire, unitamente al lavoro svolto dagli altri individui, al corretto funzionamento della società.

Nelle religioni tale aspetto del lavoro svolto dall’uomo è vissuto con la credenza che ogni attività debba essere dedicata a Dio, come se Esso fosse l’unico fine di qualsiasi sforzo compiuto.

L’individuo, invece di dedicare il proprio lavoro a Dio, azione moralmente ineccepibile ma praticamente inutile dato che Dio non esiste, dovrebbe avere più cognizione della funzione sociale delle proprie azioni; si avrebbe, pertanto, una maggiore consapevolezza dell’importanza della società, vi sarebbe più rispetto delle norme che ne regolano il corretto funzionamento, con un conseguente arricchimento della coscienza civica sia individuale, sia collettiva.

Nella società contemporanea, complessa ed articolata, ogni attività svolta dal singolo si integra con quelle degli altri individui: per cui avremo qualcuno che si dedicherà all’agricoltura, qualcuno all’allevamento degli animali, qualcuno alla produzione degli altri alimenti, chi venderà gli abiti, chi costruirà le case, chi semplicemente si occuperà delle attività di ricreazione e svago; ebbene se non vi fosse questa ripartizione di ruoli potrebbe, oggi, il singolo individuo provvedere da solo al soddisfacimento delle proprie esigenze primarie e non?

Se a queste attività che ho descritto aggiungiamo anche il lavoro insostituibile svolto dai medici negli ospedali, dagli insegnanti nelle scuole ed il progresso tecnologico che deriva da quello svolto dagli scienziati, ecco che potremmo avere un’idea più completa dell’importanza sociale del lavoro svolto da ogni individuo.

In questa prospettiva l’individuo assumerebbe, quindi, una figura centrale, divenendo il fulcro della società odierna, sempre più complessa, ma sempre più dipendente per il suo funzionamento dall’attività del singolo.

Il fine di ogni individuo sarebbe adesso di contribuire al funzionamento della società, non più fredda ed impersonale, ma luogo di incontro, progresso, civiltà, basato sulla necessaria componente individuale.

Non di meno penso che l’aspetto sociale dell’uomo vada considerato in un contesto più ampio del singolo stato o nazione; credo che a tal proposito un insegnamento morale importante ancora ci perviene dalle religioni, le quali non fanno alcuna distinzione di razza o nazionalità.

La storia, inoltre, afferma che l’uomo tende ad aggregarsi in strutture sociali sempre più grandi ed, infatti, notevoli progressi in tal senso sono stati compiuti da quando esso viveva in piccole tribù, nelle caverne o in villaggi isolati, fino ai giorni nostri, nei quali si parla sempre più spesso di globalizzazione.

Credo che l’uomo contemporaneo potrebbe essere in grado di rispondere alle classiche domande di sempre.

Chi siamo?

Non siamo altro che particelle elementari di materia che hanno preso vita; forse ciò è accaduto a causa della proprietà periodica degli atomi dei quali siamo costituiti e da concomitanti fattori ambientali, che si sono verificati sulla Terra 3,5 miliardi di anni fa.

Sono dell’idea che i due elementi siano stati entrambi determinanti; infatti, la restante materia inanimata presente sulla Terra, non avrebbe mai potuto prendere vita, e non lo ha fatto, proprio a causa della diversa struttura atomica che la distingue; mentre i processi che hanno dato origine alla vita, non si sono più ripetuti, proprio perché non vi sono più state le condizioni ambientali primordiali.

Forse la vita è stata portata sulla Terra da meteoriti, comunque, anche in questo caso rimane plausibile la considerazione che la vita si è originata, in qualche parte dell’universo, evolvendosi da atomi inanimati.

Il religioso direbbe che all’origine del percorso che ha dato origine alla vita vi sia stata la mano di Dio, può anche darsi, ma nell’ipotesi che Dio non esistesse allora rimarrebbero valide le altre affermazioni.

Da dove veniamo?

Veniamo semplicemente da questo universo, del quale facciamo parte al pari delle stelle e dei pianeti, che, come noi, sono costituiti da particelle elementari di materia.

Forse piuttosto che dire da dove veniamo, dovremmo dire: da dove viene la materia?

Di essa ancora non si conosce la provenienza, ma forse a tale interrogativo, affascinante, potranno dare risposta gli studi sulle particelle elementari o la meccanica quantistica più in generale.

Il religioso direbbe che la materia è stata creata da Dio, ma nell’ipotesi che Dio non esistesse allora saremmo inevitabilmente costretti a cercare un’altra spiegazione.

Dove andiamo?

Andiamo verso l’eternità, questo lo penso in considerazione del fatto che come esseri viventi esistiamo e ci riproduciamo sulla Terra da 3,5 miliardi di anni e continuiamo a farlo; ulteriormente credo che ci stiamo incamminando in direzione di una probabile autonomia da quell’ambiente che oggi ci necessita per vivere.

Mi spiego meglio con l’esempio della pianta che vive in un vaso e che continuerà a vivere fino a quando nella poca terra, che ha a disposizione, non si esauriranno le sostanze nutritive di cui necessita.

Forse la pianta per sopravvivere dovrebbe uscire dal vaso e cercarsi un nuovo ambiente ricco di sostanze nutritive: ma la pianta non è in grado di fare questo. Noi, invece, abbiamo la capacità di farlo e se riusciremo a creare degli habitat a noi favorevoli al di fuori del nostro pianeta, avremo compiuto il grande passo verso la sopravvivenza, che la pianta, invece, non potrà mai fare.

La nostra tecnologia ci sta lentamente portando all’esplorazione degli altri pianeti: se solo concentrassimo i nostri sforzi in tal senso, piuttosto che farci la guerra per accaparrarci le poche risorse che ci offre oggi la Terra, chissà che sviluppo potremmo raggiungere in tempi brevi.

Spesso paragono il viaggio di Cristoforo Colombo, oltre le “Colonne d’Ercole”, all’esplorazione dell’universo che oggi ci apprestiamo a compiere.

Dico questo poiché mi sembra evidente che l’uomo ha sempre più bisogno di materie prime e di fonti energetiche. A nulla credo che possa servire il risparmio energetico o il riciclaggio delle materie prime, in quanto la crescente domanda, dovuta al costante progresso tecnologico, finirà con il prosciugare le risorse che il nostro pianeta ci offre.

In tutto questo credo che abbia anche una certa importanza quanto asserito dalle leggi della termodinamica; esse affermano che in un sistema isolato, in qualunque parte dell’universo, c’è una quantità misurabile di energia che viene definita energia interna del sistema (primo principio della termodinamica). Si tratta dell’energia totale, potenziale e cinetica, degli atomi e delle molecole che costituiscono il sistema.

Il valore di tale energia interna può cambiare attraverso il trasferimento di massa dal o al sistema, attraverso il trasferimento di calore dal o al sistema, attraverso il lavoro che viene effettuato a subito dal sistema.

In quest’ultimo caso se il lavoro è compiuto dal sistema, mediante processi naturali, che in genere sono sempre irreversibili, l’energia di tale sistema isolato è destinata a diminuire, con un conseguente aumento dell’entropia.

L’entropia è la grandezza che misura l’indisponibilità dell’energia di un sistema a compiere lavoro; cioè maggiore è l’entropia, minore è l’energia disponibile per compiere lavoro (secondo principio della termodinamica).

La nostra società può essere considerata un sistema chiuso, la cui energia interna deriva dalle risorse che ci offre oggi il nostro pianeta ovvero il nostro sistema solare; inevitabilmente l’energia interna contenuta in tale sistema si esaurirà, come previsto dalle leggi della termodinamica, a meno che esso non diventi aperto, tramite l’immissione di nuova materia o energia.

L’espansione verso altri pianeti ovvero altri sistemi solari, credo costituisca l’unico metodo per rendere aperto il nostro sistema.

Qualcuno potrebbe obbiettare che l’universo nel suo insieme costituisce pur sempre un sistema chiuso e che in esso l’entropia è destinata ad aumentare, vi sarà sempre meno energia per compiere lavoro e si giungerà a quella che viene definita “morte termica”; ma l’universo è talmente grande che prima che si esaurirà l’energia presente in esso, trascorreranno ancora miliardi di anni, in tale lasso di tempo l’uomo avrà sicuramente trovato una soluzione a tale problema o, chissà, forse non vi riuscirà mai.

In tutte queste considerazioni che ho fatto su Dio e sulla vita in genere, un elemento comune, che intendo sottolineare, è l’assenza di spiegazioni trascendentali: non esiste alcun Dio e, così pure, non esiste alcun fine esegetico al quale siamo predestinati.

Credo, invece, che noi e l’universo intero siamo fatti così solo per motivi pratici: la materia della quale siamo costituiti, e della quale è costituito l’universo, risponde esclusivamente alle leggi della fisica ed ha assunto, ed abbiamo assunto, l’attuale forma solo in considerazione di esse.

Noi siamo il frutto di una serie di eventi, forse casuali o forse indotti dalle leggi della fisica, che hanno condotto dal Big Bang alla comparsa di esseri pensanti, quali noi siamo; non ha senso chiederci se l’universo avrebbe potuto essere differente, poiché l’unica realtà è questa che viviamo; avrebbe potuto essere differente ed oggi non saremmo qui a testimoniarlo, invece non lo è stato ed oggi siamo qui a testimoniarlo.

E’ da molto tempo che rifletto sulla struttura dell’universo, in proposito ho formulato delle considerazioni, da prendere, ovviamente, con le dovute cautele; in fondo, si tratta pur sempre di speculazioni compiute da un “non addetto ai lavori”.

Penso che non si può dare torto a chi crede che l’universo non sia infinito; infatti, è impossibile immaginare un oggetto fisico che sia sempre più grande senza mai fine, ma è pur vero che quando cerchiamo di immaginare quali siano i suoi confini dobbiamo, invece, fare i conti con l’idea dell’infinito.

Ho letto della teoria definita “dell’universo a bolle” o “universo inflazionario”.

In questa teoria è succintamente ipotizzato che il nostro universo non sia altro che una bolla formatasi in un immenso magma, di natura non meglio definita, nel quale le normali leggi della fisica non hanno valore.

Tale magma è quindi fuori dal tempo, così come lo concepiamo noi, ed in esso la materia assume forme diverse da quelle da noi conosciute.

Per un qualche motivo, in questo magma si formano delle bolle, come il nostro universo, nelle quali la materia si raffredda, assume le forme a noi note ed è, quindi, soggetta alle normali leggi della fisica.

In questa teoria, mi sembra che un punto di contraddizione sia il volere inserire a forza il nostro universo in un ambiente nel quale si annullino tutte le leggi della fisica conosciute; ciò, secondo me, avviene semplicemente perché non si riesce ad immaginare un universo che sia infinito.

Ho letto anche della geometria non euclidea applicata alla struttura dell’universo; ho letto che secondo tale teoria la curvatura dello spazio può essere negativa, positiva o nulla; quando è positiva lo spazio, e quindi l’universo, assume la forma di una sfera detta ipersfera; essa non è infinita, ma allo stesso tempo, al pari di ogni sfera, non ha un inizio ed una fine, per cui potrebbe apparire senza limiti, pur essendo finita.

Anche in questo caso mi sembra che si ravvisi un’altra contraddizione dovuta alla necessità di far collimare l’idea dell’infinito non applicabile ad un oggetto fisico e la necessità di trovare dei confini a questo universo.

La sfera raffigurata nella geometria non euclidea, che raffigura l’universo nel suo complesso, pur non avendo un inizio ed una fine, ha pur sempre una massa che non è infinita ed i confini sono rappresentati dalla sua circonferenza, oltre la quale cosa vi è?

E se la soluzione fosse molto semplice e cioè che forse l’universo sia costituito da due “componenti”?

L’uno, la materia distribuita sotto forma di ammassi di galassie, gas, polveri interstellari, che vista nel suo insieme costituisce un oggetto fisico avente una massa grandissima, ma non infinita; l’altro, il vuoto interstellare che permea ogni punto dell’universo, che non ha alcuna massa, che non è un oggetto fisico e che, quindi, non riesco a non immaginare infinito.

Il “nulla”, che non è un oggetto fisico, potrebbe essere infinito, a differenza della materia che ha una massa, nel suo insieme grandissima, ma non infinita.

Se accettiamo l’idea del nulla, che non è costituito da alcuna massa, che non è un oggetto fisico, allora si che assume importanza il concetto di infinito.

In esso, nel nulla infinito, la mia mente si perde.

In questo caso quando pensiamo ai confini dell’universo potremmo parlare esclusivamente della massa di tutta la materia esistente e possiamo considerarla non infinita, indipendentemente dalla forma che essa assume nel suo insieme, sia che si tratti di una ipersfera, sia se si tratti di altro; il vuoto potremmo considerarlo, per contrapposizione, come un qualcosa che non può essere misurato, poiché non costituito da materia, ed infinito.

Credo che sia difficile concepire l’idea di un qualcosa che non sia fisico e che quindi non può essere misurato, ma se accettiamo questo modello, ecco che potremmo davvero considerare l’esistenza dell’infinito.

La provocazione che voglio lanciare è la seguente.

Attualmente lo spazio interstellare è considerato come una componente di questo grande oggetto fisico che è l’universo, ma se per un attimo pensassimo l’esatto contrario: nello spazio interstellare, vuoto ed infinito, si trova sparsa la materia presente in maniera più o meno densa.

Una riflessione da vagliare è che si potrebbe finalmente superare la difficoltà di doversi confrontare con la giusta idea dell’infinito non applicabile ad un oggetto fisico.

La mia è un’ipotesi semplice per spiegare la struttura dell’universo, ammettendo l’esistenza di uno spazio vuoto ed infinito, che non è un oggetto fisico, nel quale si trova sparsa la materia, presente in maniera più o meno densa, la cui massa totale costituisce si un oggetto fisico non infinito.

Forse in un suo infinito vagare, la materia, si è aggregata più volte in grandi ammassi che poi sono collassati in enormi esplosioni. Forse in questa prospettiva si spiegherebbe l’apparente espansione dell’universo.

Forse questa grande esplosione è avvenuta una sola volta, come ipotizzato nella teoria del Big Bang; ma, comunque, anche in questo caso, quando l’universo, prima dell’esplosione iniziale, era racchiuso in un’unica sfera, da cosa era attorniata questa sfera se non dallo spazio vuoto e, forse, infinito?

Ho letto della teoria della “Energia di punto zero” ovvero del cosiddetto effetto Casimir, secondo il quale non può esistere il vuoto assoluto ovvero non è possibile togliere tutta la materia o l’energia da un ambiente in modo da creare il vuoto assoluto; vi è un limite minimo di energia che non può essere sottratto e che quindi rimane sempre presente.

Quello che tale teoria dice è che non è possibile eliminare tutta l’energia o la materia presenti in un ambiente, non tanto il fatto che non esista da qualche parte nell’universo il vuoto assoluto ed, inoltre, come può accordarsi essa con il secondo principio della termodinamica? Non entra, tale teoria, in conflitto con il concetto di entropia e con quello di morte termica dell’universo?

Riguardo al concetto di spazio vuoto io intendo rappresentare lo spazio senza materia o energia, vuoto perché in esso non vi è presente alcuna materia o energia da togliere.

Mi spiego meglio riprendendo l’ipotesi della teoria del Big Bang: l’universo, quando era racchiuso in un’unica sfera, prima della grande esplosione, era attorniato dallo spazio vuoto e tale spazio doveva essere vuoto, proprio perché ancora non era stato occupato dalla materia e dall’energia propagatesi successivamente.

Che tale spazio fosse vuoto lo dimostra il fatto che l’universo ha potuto espandersi, altrimenti come avrebbe potuto farlo?

Attualmente l’universo, o meglio ancora la materia presente in esso sottoforma di ammassi di galassie, è in espansione, ma se non vi fosse spazio vuoto nel quale potere espandersi potrebbe accadere ciò?

Francesco